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Si parla di Disturbi Specifici del linguaggio, privilegiando l’aspetto linguistico su quello emotivo comportamentale, ma il campo è ancora piuttosto poco chiarito e si mescolano aspetti di apprendimento più specificamente linguistici, di comprensione e o espressione, con aspetti psicoaffettivi di apprendimento a controllare le emozioni e le reazioni comportamentali. E’ opportuno ricordare qui che il linguaggio è solo la ‘ciliegina sulla torta’ che completa l’interazione e la comunicazione del bambino col suo ambiente, ma che esso è preceduto dallo sviluppo delle capacità di attenzione e interazione con le persone circostanti che inizia fin dalle primissime risposte ‘riflesse’ (sembra per opera dei famosi ‘neuroni specchio’) di ripetizione imitativa di semplici azioni come lo sporgere la lingua in risposta ad un adulto che, di fronte a lui, fa altrettanto. Prima del linguaggio, un bambino impara a conoscere il suo ambiente, a interpretare la quantità di segnali che gli arrivano e a comunicare con una quantità di mezzi, a partire dal pianto per la fame o per il disagio, in interazione con le risposte che riceve. Impara inoltre a sopportare frustrazioni e limiti e regole in stretto rapporto con le modalità educative e di funzionamento ambientali. Bambini vissuti in ambienti privi di linguaggio e con interazioni ambientali inadeguate (di cui abbiamo esempio – oltre che in sporadici casi di bambini ‘selvaggi’ cresciuti incredibilmente in ambienti non umani, - in bambini adottati provenienti da istituti di altri paesi in condizioni al limite) mostrano ritardo e difficoltà nell’apprendimento del linguaggio, associato di solito con altre difficoltà e incertezze di adattamento e contatto sociale. In misura molto maggiore dei precedenti, i bambini con disturbi pervasivi dello sviluppo, fra cui l’autismo, hanno difficoltà e ritardo ed aspetti atipici anche nel linguaggio, oltre che nel comportamento, nell’uso degli oggetti e nell’interazione sociale, ma il loro disturbo riguarda appunto non solo il linguaggio ma tutte le modalità di comportamento e comunicazione, il contatto con l’ambiente, l’uso degli oggetti nonché spesso strane manie e abitudini. Molto raramente si verificano casi in cui non si sviluppa il linguaggio parlato, senza la presenza di patologie neurologiche o psichiche né di caratteristiche ambientali anomale. Esula da quest’ambito il cosiddetto ‘mutismo elettivo’ (o ‘selettivo’) in cui un bambino parla solo in ambiente familiare ed è completamente muto in altri ambienti, come la scuola e con gli estranei. Si tratta in questo caso di un rifiuto di parlare in un bambino che possiede un linguaggio normale: questo strano comportamento è interpretabile come una particolare manifestazione di disagio psicologico e ambientale e richiede solitamente un intervento psicoterapico rivolto al bambino e alla famiglia. Si ritrova con una certa frequenza nei bambini figli di genitori immigrati. Esula da quest’ambito anche la balbuzie, che non è un problema di linguaggio ma di fluenza della parola, che può essere parafisiologica per un periodo, intorno all’età di tre anni o mantenersi nel tempo, e su cui nulla di certo è conosciuto, al di là della ben nota importanza della tensione e dello stress.